"Da questa sconfitta fiorirà la futura vittoria. 'L'ordine regna a Berlino!'. Stupidi assassini! Il vostro ordine è costruito sulla sabbia. Già domani la rivoluzione si rimetterà in piedi e con un suono di tromba annuncerà, con vostro profondo orrore: 'Ero, sono, sarò!'"
Rosa Luxemburg, il giorno prima di essere catturata e uccisa.

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Rifondazione e le alleanze locali


Il problema delle alleanze e dalla permanenza nelle giunte locali, tormenta Rifondazione Comunista da sempre, ma dopo lo scorso congresso di Chianciano che ha sancito la svolta a sinistra del Partito, questa questione è ritornata di primario interesse. Definire come si debba comportare nelle alleanze il Partito post-Chianciano è il dibattito che sta coinvolgendo un po’ tutte le anime e le sensibilità presenti nel Prc e, in particolare, quelle che fanno parte dell’attuale maggioranza.

Il problema, a nostro avviso, dovrebbe essere affrontato evitando da un lato l’opportunismo dall’altro il settarismo. Imporre regole generali (sempre in alleanza con il Pd o mai in alleanza con quest’ultimo) ad una moltitudine di casi particolari differenti tra di loro, non solo è una pratica sbagliata ma anche non marxista. E’ del tutto evidente che, su questo tema, non esistono soluzioni universali e valide in ogni circostanza.

Prima di decidere se allearsi o no con il centro-sinistra, prima di stabilire la nostra uscita o meno dalle giunte locali bisognerebbe,dunque, valutare concretamente quanto la nostra politica possa influenzare l’azione di governo; per far ciò occorre tenere presente alcuni criteri che non possono in alcun modo essere sottovalutati. Tra questi, il proprio radicamento sul territorio, la composizione della coalizione, il programma di governo, la capacità del nostro Partito di far rispettare gli impegni assunti, naturalmente sempre rapportandosi alla particolarità del contesto sociale in cui si agisce. Insomma, valutare i rapporti di forza con le altre formazioni politiche non è una questione di secondo piano, anzi è fondamentale. Qualsiasi discussione sui candidati o sul numero di assessori dovrebbe essere preceduta dalla discussione sui programmi politici ed è naturale che, su questo piano, ci sono alcuni punti per noi vitali e sui quali non possiamo cedere. Molti di questi sono stati più volte elencati dalla segreteria nazionale (es. la totale contrarietà alla privatizzazione dell’acqua), ma altri vanno ricercati nelle specificità di ogni singolo territorio.
Dovremmo, ad esempio, mettere in chiaro, prima di siglare un’alleanza, il nostro rifiuto nei confronti di uno strumento politico come quello dell’elezione primaria, che è un meccanismo micidiale volto a distruggere i partiti, tanto più se di sinistra, come strutture organizzate di rappresentanza. Altro punto dovrebbe essere quello di pretendere che tutti i candidati della coalizione siano persone oneste e non legate ai poteri forti (legali e non).

Detto questo è però necessario anche affermare che su alcune realtà, come per esempio quella campana, bisogna essere chiari. Valutare, dunque, tutti i criteri sopra elencati, insieme alle particolarità del Pd campano (che se è possibile è pure peggio di quello nazionale) e valutare oggettivamente l’operato insufficiente delle varie giunte (almeno quelle più grandi) in cui siamo presenti. In questo contesto politico, si rende necessaria sia la nostra uscita dalle giunte (in particolare quella regionale), ma anche la scelta di non allearsi nuovamente con il Pd, puntando sulla costruzione di coalizioni di sinistra, almeno fino a quando le condizioni oggettive attualmente esistenti non saranno mutate.

In alcuni territori, come in Campania, ma non solo, il nostro Partito è diventato un campo di battaglia dove istituzionali più o meno legati al Pd si contendono fette di potere, imbottendo gli organismi dirigenti di persone che sono da loro economicamente dipendenti.
Non possiamo permettere che tutto ciò continui, omologandoci alle usanze delle altre forze politiche. Di conseguenza è si necessario valutare caso per caso, ma è altrettanto necessario essere espliciti e diretti laddove ormai c’è ben poco da valutare.

di Beniamino Simioli - Resp. GC Marano circolo "G.Pajetta" - Membro CPF Napoli
articolo pubblicato anche su
http://www.sinistracomunista.it/

Chiaiano: il Capo della Protezione Civile ha aperto la discarica. Ma è idonea o “fuori legge”?

Lo staff del sottosegretario all’emergenza rifiuti in Campania Bertolaso ha diramato una velina nella quale si rende noto che nella notte tra il 16 e 17 c.m. è stato effettuato il primo sversamento di rifiuti e che l’apertura della struttura è avvenuta dopo i lavori di bonifica che hanno interessato l’area dove erano stati trovati residui di lavorazioni edilizie contenenti frammenti di amianto; gli sversamenti sono continuati anche nella notte tra il 17 e 18 c.m. La velina dice la verità? Sicuramente sono stati accumulati rifiuti coperti con terreno.

La web cam evidenzia che tra i rifiuti vi sono materiali di grosse dimensioni, non identificabili, sicuramente non classificabili rifiuti solidi urbani. Chi controlla e certifica il tipo e pericolosità dei rifiuti? Alcuni autoreni carichi andavano a scaricare materiale fuori quadro. Perché? La velina non dice il vero circa la “bonifica”: avere asportato la parte superiore dei rifiuti con amianto non significa avere bonificato l’area dai materiali pericolosi. Vi sono migliaia di metri cubi di materiali sversati in passato nell’area interessata dalla realizzazione delle opere accessorie alla discarica: non sono stati caratterizzati e tra di essi vi potrebbero essere altri materiali pericolosi.
Il terreno sul quale è stato appoggiato il materiale con amianto, costituito da alcune decine di metri di riempimento abusivo di una cava di tufo adiacente a quella del Poligono, non è stato disinquinato. Deve essere chiaro che la struttura sottosegretariale non gode di alcuna fiducia e le veline non certificano che i rifiuti pericolosi siano stati veramente asportati e portati in discarica autorizzata.

Veniamo ai fatti certi, documentati e verificabili! Durante il sopralluogo eseguito il 6 febbraio scorso nell’area della discarica con gli europarlamentari Frassoni e Aita si è potuto constatare e documentare fotograficamente come sia stata realizzata la discarica nella Cava del Poligono. Si è constatato che la cava continua ad essere a rischio idrogeologico per allagamento e per frane come già individuato dal Piano Stralcio del Rischio Idrogeologico dell’Autorità di Bacino Regionale Campania nordoccidentale che non ha rilasciato il proprio parere al progetto nella Conferenza dei Servizi del 9 agosto 2008.

Non sono stati realizzati i pozzi spia attorno alla discarica per verificare l’attuale qualità delle acque di falda e per monitorare la presenza di futuri inquinanti come stabilito da progetto e legge vigente. La così detta messa in sicurezza delle pareti di cava per evitare frane di sedimenti sciolti si è rivelata inadeguata come evidenziato dal dissesto verificatosi il 21 gennaio 2009 e dal precedente avvenuto nella prima metà di dicembre 2008. Anche la così detta messa in sicurezza per evitare crolli di masse di tufo è inadeguata perché basata su dati palesemente sbagliati circa l’instabilità degli ammassi rocciosi.

Il piazzale di cava, nonostante il pompaggio, è in gran parte allagato e l’acqua, ricoperta da schiuma che indica un inquinamento chimico, si infiltra nel sottosuolo provocando l’inquinamento della falda. I movimenti di terra sono stati effettuati senza protezione contro il dilavamento e la conseguente invasione di detriti della Cupa del Cane e del sottostante abitato di Marano.
Le opere accessorie alla discarica sono state realizzate su materiali, non caratterizzati e che potrebbero contenere rifiuti pericolosi, riportati abusivamente nelle cave abbandonate con spessori di circa 20 m. L’argilla che deve garantire l’isolamento della vasca, nella quale sono stati accumulati i primi rifiuti non selezionati e differenziati raccolti nelle aree urbane ma che in pratica sono da considerare più rifiuti speciali e pericolosi che rifiuti urbani, è di infima qualità in quanto contiene detriti a spigoli vivi; inoltre è stata accumulata in difformità alle prescrizioni di legge in quanto non è stata compattata e rullata in modo da ottenere una uniforme e garantita impermeabilità. Ciò è premessa per l’inquinamento della falda.

Il telo, sovrastante l’argilla “fuori legge”, è risultato strappato visibilmente in molti punti. Su questo telo sono stati accumulati detriti calcarei di grosse dimensioni e a spigoli vivi in difformità a quanto prescritto dalla legge. Questi detriti sono “fuori legge” e rappresentano sicure premesse di lacerazione del telo impermeabile che sarà sottoposto al carico di oltre 50 metri di rifiuti; devono essere rimossi e sostituiti con ghiaia arrotondata di dimensioni idonee a non lacerare il telo. La struttura che deve garantire l’isolamento dei rifiuti e del percolato è “fuori legge” e deve essere rifatta. Quanto rilevato in loco ha evidenziato che non vi è sicurezza ambientale nell’area dei lavori e che la discarica invece di essere attivata doveva essere assolutamente rifatta in gran parte.

Dopo il 6 febbraio non sono stati eseguiti lavori per eliminare i reati commessi nella realizzazione della vasca. L’impianto attivato dal Capo della Protezione Civile Nazionale alle prime ore del 17 febbraio 2009 è una discarica “fuori legge” che può garantire solo l’inquinamento ambientale, del sottosuolo e della falda. Le prove fotografiche evidenziano inoppugnabilmente il dissesto ambientale della discarica e sottolineano che la sua attivazione nelle condizioni attuali rappresenta un attentato all’ambiente e può solo provocare un disastro ambientale.
Dopo tanti rinvii provocati da una non adeguata progettazione e dalla palese assenza di una valida direzione lavori, Bertolaso ha aperto la discarica che non è idonea a garantire quanto dichiarato nel progetto e dal Generale Giannini, cioè che i lavori e la discarica migliorano le condizioni ambientali. Resta da capire come mai il Capo della Protezione Civile Nazionale e L’Esercito Italiano si siano prestati a “coprire” lavori troppo costosi per realizzare una discarica “fuori legge”. Certo è che tutti i denari pubblici spesi non giustificano l’apertura di una struttura palesemente “fuori legge”; si è speso troppo per preparare un aggravamento del disastro ambientale. Tutti possono verificare che la vasca è “fuori legge”.

Visto che era stata presa la decisione (sbagliata) politico-amministrativa senza alcun supporto tecnicoscientifico di realizzare la discarica in un’area protetta e non idonea ambientalmente, urbanisticamente e geologicamente, ma perché non è stata realizzata in maniera perfetta garantendo l’isolamento di rifiuti e percolato come prescrivono leggi comunitarie nazionali non derogabili con i poteri speciali dal momento che l’inquinamento può danneggiare la salute dei cittadini?Chi tutela e difende i cittadini da questi nuovi reati ambientali?

Fin dal 1994 Legambiente Campania e numerose denunce avevano evidenziato gli eco crimini commessi dai malavitosi; e anche ora, nonostante le documentate denunce, nessuno vedrà o sentirà?E nel frattempo aumentano le gravi malattie incurabili connesse agli sversamenti di rifiuti, anche a Marano, come evidenziato dalla recente ricerca sul Mesotelioma pleurico fatta da medici del Monaldi, struttura ospedaliera ubicata sulla Collina dei Camaldoli a poche centinaia di metri da cave nelle quali sono stati accumulati abusivamente milioni di metri cubi di materiali di natura ignota.

E proprio il Capo della Protezione Civile Nazionale invece di risanare il disastro lo aggrava aprendo una nuova discarica “fuori legge”.

Franco Ortolani
Ordinario di Geologia Università di Napoli Federico II

fonte: http://www.chiaianodiscarica.it/

Lampedusa. Rivolta dei migranti nel Cie. La struttura distrutta da un incendio


LAMPEDUSA – Situazione gravissima al Centro di identificazione ed Espulsione di Lampedusa, dove un incendio ha distrutto buona parte di una palazzina dell’ex Cpt. Gli scontri e i tafferugli di questa mattina tra le forze di polizia ed i migranti reclusi nel centro, avrebbero provocato il ferimento di tre persone. Ma la situazione e letteralmente degenerata quando, per ragioni ancora da accertare, sono partite le fiamme che in pochissimo tempo hanno inghiottito l’intera struttura.
La tensione era scattata nella giornata di ieri, quando circa 300 tunisini hanno cominciato lo sciopero della fame per protestare contro il trasferimento di 107 loro connazionali a Roma, per essere successivamente rimpatriati.Questa protesta oggi si è trasformata in una vera e propria sollevazione generale. I migranti hanno, infatti tentato invano di sfondare dall’interno i cancelli del Cie. Secondo quanto viene riferito da voci, ancora tutte da verificare, i tunisini coinvolti negli scontri avrebbero poi ammassato materassi, cuscini e carta straccia per appiccare le fiamme.

Il Centro di identificazione, nonostante l’intervento di numerosi mezzi dei vigili del fuoco, è stato in poco tempo interamente distrutto. Una parte dei migranti è stata raccolta nei pressi della recinzione perimetrale del Cie, mentre un’altra è stata trasferita in cima alla collinetta che sovrasta la struttura.Le fiamme sono state sedate, così come la rivolta, ma alcune persone sarebbero rimaste intossicate dalla fitta coltre di fumo scaturita dall’incendio.

Fonte: Dazebao

Sfiduciato il Presidente del Consiglio Comunale di Torino

Sfiduciato il Presidente del Consiglio Comunale di Torino, Beppe Castronovo. La colpa? Aver ricevuto una delegazione di manifestanti pro Palestina.
E’ stato sfiduciato il compagno Beppe Castronovo, Presidente del consiglio Comunale di Torino, per aver ricevuto una delegazione di manifestanti pro Palestina, nel giorno della seduta comunale del 19 gennaio (Torino è gemellata con Gaza).

Decisive le firme raccolte dal PD per sfiduciare il Presidente, infatti il centro-destra da solo non ce l’avrebbe fatta. La motivazione della sfiducia è a dir poco risibile, si afferma infatti che, il Presidente, può ricevere delegazioni, solo se la maggioranza è d’accordo. Immediate le reazioni. L’ex sindaco di Torino Diego Novelli, si dichiara scandalizzato dalle motivazioni della mozione di sfiducia. Gianluigi Pegolo, responsabile nazionale Democrazia e Istituzioni, membro della segreteria nazionale del PRC, invia un messaggio di solidarietà e rafforza la fiducia all’operato di Castronovo. Eros Cruccolini, Presidente del Consiglio Comunale di Firenze, conferma l’autonomia di ruolo dei Presidenti dei consigli. Lo stesso Fausto Bertinotti dichiara: “I presidenti delle assemblee, non essendo espressione dei governi, ma delle istituzioni, quando intrattengono rapporti con manifestanti o con loro espressioni politiche, quand’anche in dissenso, svolgono un ruolo utile, tanto ad esse quanto al Paese”.

Invitiamo a far pervenire messaggi di solidarietà al seguente indirizzo:
presidente.consigliocomunale@comune.torino.it
Su Facebook http://www.facebook.com/group.php?gid=55923266716&ref=nf

Fiat, nuova cig a Pomigliano. Operai in rivolta

di Roberto Farneti
su Liberazione del 18/02/09

Solo un genio dell'economia come il ministro Claudio Scajola poteva pensare che sarebbe bastato stanziare 1,2 miliardi di euro a sostegno del solito "pacchettino" di incentivi sull'acquisto di auto nuove per arginare gli effetti di una crisi dalle dimensioni epocali. Che ci voglia ben altro lo si capisce da come si stanno muovendo gli altri paesi, a partire dagli Stati Uniti. Non tanto per l'ammontare degli aiuti al settore messi in campo dal governo americano (13,4 miliardi di euro) quanto per i vincoli posti alle "major" di Detroit: mantenimento degli stabilimenti negli Usa, investimenti su vetture ecologiche, riduzione dei compensi ai manager. In Italia non c'è ancora niente di tutto questo e così il rischio che il paese possa perdere l'unica grande azienda nazionale non è affatto scongiurato, al punto da essere stato evocato ieri dal vicepresidente di Confindustria, Alberto Bombassei, nel corso di un'audizione in commissione Lavoro della Camera.I primi a capire il vento che tira, come spesso accade, sono i mercati. Ieri il titolo Fiat ha perso a Piazza Affari il 6,69% a causa di voci, poi smentite ufficialmente, di un aumento di capitale da due miliardi di euro. Non sono state invece smentite le indiscrezioni secondo cui il Lingotto avrebbe ottenuto una linea di credito da un miliardo di euro da Intesa Sanpaolo, Unicredit e Credit Agricole. Il Lingotto ha 4,8 miliardi di euro di debito in scadenza quest'anno.La giornata nera della Fiat in Borsa non è nemmeno paragonabile a quella vissuta dai 5mila operai dello stabilimento di Pomigliano d'Arco, ai quali ieri sono state comunicate via Sms altre cinque settimane di cassa integrazione. Le tute blu rientreranno al lavoro il prossimo 9 marzo, per poi fermarsi nuovamente il 14 dello stesso mese e riprendere il 20 aprile prossimo. Campare con 750 euro al mese è dura per chiunque, figuriamoci per chi è costretto a farlo dal settembre scorso.Immediata la reazione dei lavoratori, tornati a manifestare a Napoli per la prima volta dopo gli incidenti e le botte ricevute dalla polizia sull'autostrada Napoli-Roma. Circa duemila operai si sono mossi in corteo da piazzale Tecchio, a Fuorigrotta, nei pressi dello stadio San Paolo, per dirigersi davanti agli studi della Rai, dove hanno dato vita a un presidio pacifico, anche se momenti di tensione con le forze dell'ordine non sono mancati. Pomigliano è l'esempio lampante di quanto possa essere limitato l'impatto degli incentivi varati dal governo. Per favorire l'acquisto di veicoli meno inquinanti, è stato correttamente fissato un limite per accedere al bonus sulla base delle emissioni dei gas di scarico. Limite che per le auto a benzina è di 140 grammi/km di Co2, mentre per quelle a gasolio è di 130. Il problema di Pomigliano è che produce tutti modelli sopra i 140 grammi/km. Anche a Cassino, dove si producono Bravo e Lancia Delta, la situazione non è affatto rosea. «Attualmente gli operai fanno due settimane di cassa integrazione al mese - spiega Enzo Masini della Fiom nazionale - qualcosa potrà migliorare quando uscirà il modello a metano della Bravo». Discorso diverso alla Fiat di Mirafiori, dove si annuncia una settimana in meno di cassa integrazione a febbraio per i lavoratori addetti alla produzione dell'Alfa Mito e della Multipla. Cassa integrazione sospesa anche a Melfi, dove oltre alla Grande Punto si producono modelli a metano e gpl.Una disparità di trattamento che, a lungo andare, potrebbe incrinare la solidarietà tra i lavoratori. Lo sanno bene Fim, Fiom, Uilm e Fismic che adesso chiedono «un tavolo permanente con il governo, la Fiat e il mondo delle imprese per affrontare la crisi» e affermano che «qualsiasi intervento a favore del settore deve prevedere un esplicito impegno delle imprese a non licenziare, a non chiudere stabilimenti e a non delocalizzare». Con il documento approvato ieri dal coordinamento nazionale unitario, i sindacati chiedono anche al gruppo Fiat di «predisporre un Piano Industriale per i prossimi anni che garantisca il mantenimento e lo sviluppo di tutte le realtà produttive italiane dei vari comparti (Auto, veicoli commerciali, macchine agricole, movimento terra, motori, componentistica)». Al governo, che è intervenuto «in ritardo rispetto agli altri Paesi europei» sollecitano provvedimenti immediati per il sostegno al reddito da garantire nella misura dell'80% del salario ai lavoratori coinvolti dalla Cig e a tutte le figure del mondo del lavoro e di estendere la durata della cassa ordinaria«. Fim, Fiom, Uilm e Fismic invitano anche Regioni e associazioni delle imprese «a fare la loro parte».

Presidio Antifascista

Venerdì 20 Febbraio, ore 12 piazzale Tecchio (fuori la facoltà di Ingegneria)

Con la proposta di legge 1630, il governo Berlusconi intende equiparare il ruolo ed il valore dei repubblichini (fascisti rimasti fedeli a Mussolini nella Repubblica di Salò) a quello dei Partigiani, annullando il carattere antifascista della Repubblica italiana, e cancellando il valore storico e fondativo della Resistenza. Il suddetto ddl non è un caso isolato, ma rientra in una politica di revisionismo attuato dal governo Berlusconi, parte di una più generale svolta reazionaria dell'esecutivo. Tale manovra comprende l'attacco alla Costituzione portato avanti in occasione del caso Englaro. Il governo, inoltre, non si limita ad attaccare i valori Antifascisti, ma, legittima la violenza fascista e razzista: le famigerate "ronde" padane e i raid nei campi rom, gli ennesimi atti di violenza gratuita verso immigrati, e, non ultime, le cariche della polizia agli operai di Pomigliano che lottano per la difesa del proprio posto di lavoro, non sono casualità. Inoltre, in questo clima, gruppi dichiaratamente fascisti ritrovano agibilità: le violenze squadriste di Piazza Navona dello scorso ottobre trovano una triste eco nelle azioni provocatorie della scorsa settimana presso la facoltà di Ingegneria, con la comparsa di scritte e simboli fascisti a Piazzale Tecchio in occasione del 10 Febbraio, giornata simbolo del revisionismo storico fascista.

La difesa dei valori Antifascisti è quindi una necessità non solo per difendere la memoria storica, ma per evitare che derive autoritarie si ripetano oggi, nel tentativo di gestire la crisi economica! Diciamo no al fascismo e alle politiche reazionarie del governo a partire dai nostri luoghi di studio e di lavoro!

Maurizio Sacconi, due o tre cose che sappiamo di lui

di Maria R. Calderoni
su Liberazione del 07/02/2009


Niet niet niet e poi niet. Dietro la sua larga, paffuta fisionomia di gentiluomo assai contento di sé, Maurizio Sacconi (da Conegliano, classe 1950), ministro di quasi tutto - lavoro, salute, welfare - nasconde una tempra di celodurista, altro che Bossi. Su Eluana come un dio giove ha scagliato l'Atto - si chiama precisamente "atto di indirizzo" - con il quale proibisce a tutti tutti gli istituti sanitari del Regno l'utilizzo di qualsivoglia pratica di interruzione di alimentazione forzata, pena l'esclusione totale e immediata dalle convenzioni del Servizio sanitario nazionale. Perbacco.
Come si sa, l'Atto - che oltretutto non ha valore vincolante, né contenuto prescrittivo - non ha fermato il tormentato viaggio della sfortunata ragazza presso la clinica di Udine che ha deciso di non accettare diktat del ministro tuttofare. Ma lui, lì dalla sua poltrona di via Veneto, continua ad eccitarsi: secondo i bene informati ci sarebbe sempre e ancora lui, ligio ai voleri del Vaticano, dietro il nuovo repentino mutamento di Berlusconi - appena ieri deciso, sulla tragedia Eluana, a seguire Fini nel dovuto silenzio e ora invece pronto allo scontro istituzionale con il Quirinale.
Maurizio Sacconi da Conegliano. Un immarcescibile esemplare della razza politica nostrana, formidabile nell'arte sublime di restare a galla e di non mollare la presa (poltrona). Uno ferratissimo, che ha battuto in tale arte un De Michelis e un Claudio Martelli, figurarsi. Laureato si è laureato, in giurisprudenza, e ha insegnato per un po' economia del lavoro a Tor Vergata; ma per il resto della sua bella vita è stato sempre e solo "in" politica. Ci si è trovato bene, hic manebimus optime .
In una recente intervista, rilasciata a Libero poco dopo le ultime elezioni, quelle che lo hanno riportato a Palazzo come esuberante ministro berlusconesco, confessa con candore la sua indole naturalmente ondivaga, incline al mutamento: «Ero socialdemocratico già alle medie, ma mi vestivo come i Village People», pantaloni a zampa d'elefante, cinturone, eccetera. Da socialdemocratico quale è sin dalle medie, si iscrive però al Psi e non sta con le mani in mano; nel '79 è già deputato; è un fido di Bettino, un entusiasta del mitico Midas, lo dice lui stesso, mettendosi nel mazzo con Brunetta, Tremonti, Frattini, Bonaiuti: «Noi siamo i ragazzi che si formarono in quella che io chiamo "la felice esperienza degli anni Ottanta", la cultura riformista che fiorì grazie a Bettino Craxi, ma anche a Gianni De Michelis e a Giuliano Amato». Detta anche la "Milano da bere"...
Begli anni per Maurizio Sacconi da Conegliano, quelli. Nel segno di Craxi va via liscio e felice per quattro legislature, dal 1979 al 1994, egregiamente barcamenandosi tra commissione industria e bilancio, quattro volte sottosegretario; e anche con un giro (80-81) in Legambiente come presidente nazionale. Mai senza poltrona, VIII, IX, X, XI legislatura lo vedono sempre lì, indistruttibile («anni intensi, mi divertivo moltissimo a imitare i colleghi di partito, sopratutto lui, Craxi»).
Peccato che poi arriva Tangentopoli. Veramente lui la chiama «quel colpo di stato mediatico-giudiziario». Deve mollare l'osso, viene giù tutto, nei dintorni di garofano e scudocrociato, «un incubo, arrivavo a provare sentimenti di odio e di rancore verso i responsabili di tale crollo», confessa (si può ben capire...). Caduto giù, con la poltrona perde anche la fede («sempre stato cattolico»), non c'è più trippa per gatti, allora che si fa? «Cercai di salvarmi la testa. Per fortuna c'era un treno che partiva e io lo presi», destinazione Oil, Organizzazione internazionale del lavoro, Agenzia delle Nazioni Unite, sede a Ginevra. Nessun dorma. Nel frattempo è infatti comparso Berlusconi, e l'ex fan di Craxi non perde tempo; nel 1994 ce l'ha già in tasca, la tessera azzurrina di Forza Italia («fu un passaggio naturale, spontaneo, immediato»), parole sue.
Beh, l'Oil è una parentesi; XIV, XV, XVI legislatura, lui è lì: Maurizio Sacconi, presente (e con la poltrona ritrova anche la fede). Il suo grande cruccio è di non essere mai andato ad Hammamet a trovare Craxi e il suo dolore ancora cocente è l'uccisione di Marco Biagi, di cui era amico e col quale nel 2001 ha collaborato alla stesura del discusso "Libro bianco".
Senza pentimenti e rimpianti, apodittico ed integrato, Maurizio Sacconi fa parte di quella schiera di ex Psi che hanno trovato in Berlusconi il proprio destino, my destiny, la seconda vita e la poltrona eterna. Grazieadio, Berlusconi è colui che ha apprezzato e rivalutato «il grande impulso modernizzatore di Craxi». Sostiene Sacconi.
Vestivamo alla Village People. In attesa dei suoi nuovi exploit "modernizzatori" in materia di lavoro-salute-welfare, qualcuno ha di recente messo in rete titoli del tipo: "Il ministro va a letto con la lobbysta". Il ministro è proprio lui, Sacconi e la lobbysta sarebbe una signora in carriera che di nome fa Enrica Giorgetti, direttore generale di Farmindustria, nonché sua moglie. Fatemi capire bene: magari non sarà lobbysta, ma la moglie del ministro del welfare, al quale tra l'altro spetterà il compito di fissare i prezzi dei farmaci, è proprio il direttore generale di Farmindustria, la Confindustria dei farmaci?

L'approdo precario di Fava&C: con tutti tranne che con i comunisti

di Kamenev
su Liberazione del 07/02/2009


La riforma elettorale con lo sbarramento al 4% è praticamente cosa fatta. La (presunta) contrarietà di consistenti (?) pezzi del Pd alla riforma voluta da Veltroni e accettata da Berlusconi (e non il contrario…) si è sciolta come neve al sole, alla Camera dei Deputati, dove dopo il tanto "tuonare" dei dalemiani è finito per piovere. E dove tutti si sono messi in riga, eccezion fatta per Parisi e i suoi. Al Senato, settimana prossima, le cose non andranno diversamente: solo due (dicasi: due) "senatori coraggiosi", e cioè Paolo Nerozzi e Vincenzo Vita, esponenti dell'area "A Sinistra", nel Pd, espliciteranno il loro voto contrario. Il resto del Pd capisce (Veltroni). E si adegua. A questo punto, le grandi manovre per come andare alle elezioni - in quel simpatico (?) campo d'Agramante che corrisponde al nome di sinistra radicale - sono già belle che partite. Ma zeppe di contraddizioni.
Fausto Bertinotti, che ne scrive sul manifesto , fa suonare la campanella rilanciando "l'ultimo appello" a (tutta) la sinistra: sarebbe meglio che le elezioni europee non ci fossero, sostiene (e Kamenev - sospirando - gli dà ragione), ma visto che ci sono e che è irrealistico pensare di "saltare un giro" (come chiedeva proprio il manifesto ) non resta che varare «un cartello elettorale di tutte le forze politiche, nessuna esclusa, che si richiamano alla sinistra e all'idea di un'altra Europa». Insomma, l'idea di Bertinotti è quella di un cartello puramente "difensivo", aperto a tutta la sinistra. Il (piccolo?) problema però è che nessuno è davvero d'accordo con Fausto. Solo i bertinottiani - non a caso a loro piace chiamarsi così - rimasti nel Prc la pensano come lui. E cioè che "anche" i comunisti debbano essere della partita. Da altre parti la pensano molto, ma molto diversamente. Cosa succede, infatti, alla "destra" - se ci si passa l'espressione - del campo d'Agramante della sinistra? Una cosa semplice: i "comunisti" non li vuole nessuno. Con una doppia intervista a Left , sia il leader di Sd Claudio Fava in modo indiretto che la portavoce dei Verdi Grazia Francescato (in modo più che diretto) lo hanno già detto. Le aperture di Fava guardano a ben altre forze politiche: Radicali, con qualche paletto (l'indisponibilità a candidare l'ingombrante leader Marco Pannella), e soprattutto Socialisti. Quelli di Nencini, Boselli e Craxi (Bobo). «Punti di contatto molti, impresa possibile», dice Fava parlando dei Socialisti. E un colloquio avuto con Nencini ieri rafforza la prospettiva: a sentire Nencini, si tratta di costruire una forza «Laica, Riformista e di Sinistra». E i comunisti? Non sono contemplati. Ancora più secca è l'ipotesi della Francescato: «I Verdi assieme ai partiti con la falce e martello? No, mai», dice con soavità mista a durezza sempre a Left .
Del resto, che i Verdi abbiano avuto storicamente - e anche in chiave europea - un'avversione di fondo verso un'alleanza con forze dichiaratamente comuniste è cosa nota da tempo. Certo, negli ultimi anni si erano acconciati a vedersi arruolare nell'area della sinistra radicale, ma con una forte, fortissima, insofferenza del loro zoccolo duro, ecologista e ambientalista "intransigente".
Meno scontata è l'avversione di Fava e di Sd, che in fondo hanno operato una scissione dai Ds quando quel partito decise, assieme alla Margherita, di far nascere il Pd, ma tant'è. Alternativi al Pd - e seriamente, specie sulla base di una radicalità su un tema non da poco come la questione morale - Sd vuole stare a piedi uniti dentro il gruppo del Pse. Molto più facile per loro, dunque, guardare alle forze laiche, socialiste e riformatrici come, appunto, Socialisti e (ma ne sono sicuri?) Radicali, che alle forze comuniste, Prc e Pdci in testa. Senza dire del fatto che, in un non troppo lontano forum svolto con il quotidiano L'Unità , Fava disse senza mezzi termini che non solo il comunismo (ma anche la socialdemocrazia) è nient'altro che «una tradizione politica conclusa».Cosa resta? Resta, appunto, un orizzonte che vede la possibilità di mettere assieme tutti coloro che rifiutano sia la tradizione comunista che quella socialista in un'ottica di innovazione sociale, politica e ideologica che sa tanto di New Labour e molto poco sia di comunismo (ovvio) che di socialismo.
Da questo punto di vista, i conti tornano. Basta superare quisquilie e pinzillacchere come il fatto che i Socialisti (per non dire dei Radicali) si sono dichiarati, negli anni, a favore di tutte le guerre (Afghanistan e Iraq compresi), per l'estensione e non certo per l'abrogazione della legge 30, contrari ad ogni passo e iniziativa autonoma della Cgil non fatta in nome della concertazione, per il libero commercio e la libera iniziativa, senza alcun vincolo, laccio o lacciùolo che fosse, al mercato. Erigere paletti insormontabili a qualsiasi tradizione di ceppo comunista e persino socialdemocratico, può aiutare, forse, a superare la soglia del 4% grazie a un accrocchio (ad ora indistinto, poi si vedrà) ma equivale anche a cancellare qualsiasi idea di Sinistra con la "S" maiuscola. Non si capisce, cioè, come si possa dar vita a una Nuova Sinistra, non solo prescindendo dal contributo di comunisti e socialisti ma anche dicendo loro chiaramente che trattasi di "ospiti non graditi", residui bellici del Novecento. Basta, a fronte di tutto questo, "l'unità dei comunisti", come - si dice - vorrebbero fare Prc e Pdci, convolando a nozze? No, certo che non basta. Neppure Kamenev lo pensa. Resta da chiedersi come si possa dar luogo a qualsivoglia idea di sinistra, nel nostro Paese, prescindendo dalle sue tradizioni teoriche principali, abiurando la propria storia, un lungo passato e molti ideali, compresi vent'anni di Rifondazione. Rifondazione, appunto. Non solo "comunista". Un processo, cioè, "un partire", oseremmo dire, più che "un partito". Almeno così l'avevamo capita, da giovani, quando Rifondazione nacque.
Ma che, a sinistra, e dunque non solo dentro il Pd, ci sia anche chi vuole mettere fuori gioco, e definitivamente, comunisti (e, financo, socialdemocratici) beh, questo appare anche a un bolscevico "di destra" come Kamenev un po' troppo. Possibile che chi ha militato decenni in un partito orgogliosamente comunista e che oggi si appresta a dare vita ad altre formazioni politiche in nome di un'indistinta (e stinta?) Sinistra non abbia nulla da dire, in merito?

Per la destra, partigiani e repubblichini sono la stessa cosa



di Bianca Braccitorsi

Sabato 7 febbraio iniziativa promossa dall’ANPI a cui hanno aderito Rifondazione, sindacati e movimenti contro la nuova spirale revisionista. Il disegno di legge 1360 propone un’onoreficenza per fascisti ed antifascisti



ROMA - “La libertà è una bella differenza” è il titolo del manifesto dell’ANPI di Roma e Lazio che convoca, per sabato 7 febbraio alle 10, al teatro Italia (via Bari, 18) una assemblea popolare, alla quale ha aderito anche il Prc con i Giovani Comunisti, sindacati, partiti, movimenti che si richiamano all’antifascismo, per dire NO alla legge 1360 che propone un uguale titolo onorifico e un uguale trattamento pensionistico per i partigiani, i deportati e i fascisti repubblichini alleati e complici dei tedeschi invasori, con i quali gareggiarono in crudeltà.

Primo firmatario è l’on. Lucio Barani, del “Nuovo PSI” aderente al PdL e sindaco di Villafranca in Lunigiana, al quale si deve una lapide che ricorda il passaggio di Mussolini “ospite di questo borgo nel triste gennaio del 1945, quando, reduce dalle retrovie della linea Gotica, si avviava al tragico epilogo della sua vita avventurosa” collocata, alla presenza di Alessandra Mussolini, vicina alle scritte che ricordano il partigiano Nello Olivieri, ucciso in una imboscata da fascisti travestiti e il medico Alberico Benedicenti che nascose, difese e aiutò i partigiani del suo paese. La legge 1360 propone l’assegnazione dell’Ordine del Tricolore come “ atto dovuto verso tutti coloro che, oltre 60 anni fa, impugnarono le armi e operarono una scelta di schieramento convinti della bontà della loro lotta per la rinascita della patria” e si autodefinisce “coerente con la cultura di pace e di pacificazione della nuova Italia”. Con buona pace di quanti, anche da posizioni di sinistra, parlano di “memoria condivisa” dimenticando, oltre allo spirito della nostra Costituzione, una sentenza della Suprema Corte della Cassazione che dichiara la illeggittimità della “Pseudo Repubblica sociale italiana” e quindi “traditori e collaborazionisti col nemico”, i suoi sostenitori.La manifestazione di Roma, con la partecipazione di Massimo Rendina, partigiano combattente e presidente dell’ANPI di Roma e Lazio, Giovanni Salvi, giudice, Ferdinando Imposimato, presidente onorario della Corte di Cassazione, Claudio Di Berardino, segretario generale della CGIL Lazio, Sirio Zolea, studente dell’ONDA e Armando Cossutta della presidenza onorario dell’ANPI nazionale, è il primo appuntamento di una campagna per impedire questo ennesimo tentativo di riproporre, blandamente mascherato di modernità, quel fascismo che cittadini e cittadine di questo paese debbono conoscere e combattere, in tutte le sue forme. La partecipazione di massa è il primo segnale da dare.

A Chiaiano la marcia della "rabbia degna"

Le indagini su Bertolaso, ex commissario straordinario e ora sottosegretario, non sorprendono i comitati che si battono contro gli inceneritori. Per la Rete salute ambiente è la conferma che «15 anni di "emergenza" sono stati utili solo per gli interessi legati alle megadiscariche e ai finanziamenti per l'incenerimento». Dal 18 al 21 febbraio, un forum internazionale a Napoli - ZWIA09 (zero waste international alliance), coinvolgerà tecnici e attivisti per scrivere un piano alternativo sulle orme di città come San Francisco o Tel Aviv. E oggi tra Chiaiano e Marano si terrà la "Marcia della degna rabbia".
Fonte: Liberazione

Ricordando la genesi del "giorno del ricordo"

Cinque anni fa fu istituita la solennità civile del “giorno del ricordo delle foibe, dell'esodo e della più complessiva vicenda del confine orientale”, da commemorare il 10 febbraio. Intendiamo oggi parlare della genesi di tutto questo.

La legge che è stata approvata è frutto di un accordo tra diverse proposte presentate da vari parlamentari. A questo proposito riportiamo qui alcuni appunti tratti da una conferenza stampa svoltasi a Trieste il 6/2/04, nel corso della quale i parlamentari DS Fassino, Violante e Maran spiegarono l’iter dell’accordo tra le parti su questa proposta di legge.

Fassino ha ribadito la necessità di ricordare il 50° anniversario dell’esodo e di superare ogni forma di ambiguità e reticenza dopo la rimozione di una pagina di storia italiana, tragedia della sofferenza di centinaia di migliaia di italiani, e di rendere un omaggio doveroso alla vicenda dell’esodo da troppo tempo misconosciuta e rimossa.

Questa rimozione, ha spiegato, trova radici nella guerra fredda quando prevalsero le ragioni dell’ideologia sulle ragioni della storia, ed è doveroso ristabilire la verità storica ed assumersi le proprie responsabilità. Il PCI sbagliò a tacere, l’aggressione fascista alla Jugoslavia non poté giustificare né la perdita dei territori né l’esodo. Il PCI sbagliò nel vedere queste vicende come lotta tra destra e sinistra, va invece letta come manifestazione di quel nazionalismo pericoloso che fu prodotto in questa parte dell’Europa e che torna a risorgere, come dimostra la guerra nei Balcani.

Riguardo alla data, Fassino ha spiegato che loro avevano pensato al 20 marzo (data dell’ultimo viaggio del Tuscania, la nave che trasportò gli esuli dall’Istria in Italia), mentre le federazioni degli esuli avevano proposto il 10 febbraio (data della firma del trattato di pace del 1947); loro accolgono questa proposta di “giorno della memoria dell’esodo” perché l’enormità delle sofferenza patite dagli italiani non permette una disputa tra le date, la storia del paese deve essere patrimonio comune, in quanto “siamo tutti figli della storia”.

Violante ha aggiunto che bisogna riconnettere alla storia della Repubblica italiana la storia del confine orientale, vicende fino allora occultate, per ricompensare dall’oblio e dalla dimenticanza; questo il motivo delle proposte di legge sia di Menia (AN) che di Maran (DS) di una giornata della memoria in cui si chiede la più ampia collaborazione da parte di tutti.

A domanda in cosa si differenzino le due proposte di legge, Violante rispose che i DS hanno accolto la data del 10 febbraio perché “non si può imporre una volontà di ricordo”. Secondo Menia è necessario apparentare le foibe con l’esodo, secondo i DS l’esodo nasce dallo scontro fra stati e totalitarismi, quindi su queste cose si sarebbe discusso perché loro non volevano imposizioni di visioni di parte.

Maran aggiunse che i DS erano disposti a discutere sulle proposte, ma con la clausola che rimanessero distinte la giornata della memoria dell’esodo ed il riconoscimento agli infoibati.

Già in queste posizioni dei DS possiamo vedere come la loro interpretazione dei fatti storici si sia adattata a quella portata avanti dalle federazioni degli esuli ed in genere della destra irredentista, che vide nel trattato di pace non l’atto che portò a concludere un contenzioso iniziato dall’Italia con la sua politica di conquista dell’area balcanica, quanto il diktat che privò l’Italia di una parte consistente del suo territorio, senza considerare che le “terre perdute” erano state comunque annesse all’Italia in seguito ad una conquista militare (dopo la Prima guerra mondiale) e non comprendevano aree ad etnia totalmente italiana. E che la sconfitta dell’Italia nella Seconda guerra mondiale era dovuta come prima cosa al fatto che era stata l’Italia ad aggredire altri paesi; non si considera che non fu la Jugoslavia a dichiarare guerra all’Italia, ma l’Italia ad annettersi la cosiddetta “provincia di Lubiana”, e non si può, come ha dichiarato anche Fassino, liquidare questo fatto come se non avesse importanza per quello che è accaduto dopo e quindi non ammettere che la politica di espansionismo fascista fu un crimine, del quale pagarono le conseguenza non solo gli “esuli” dopo la fine della guerra, ma tutte le vittime (non solo slovene e croate, anche italiane) della Seconda guerra mondiale. Inoltre, nonostante i buoni propositi di Maran, alla fine anche i DS (e buona parte dell’area del “centrosinistra”) si sono allineati su quelle posizioni che non distinguono “memoria dell’esodo” e “riconoscimenti agli infoibati”, visto che il “giorno del ricordo” è divenuto di fatto una ricorrenza in cui si riabilitano anche criminali di guerra, fascisti, collaborazionisti, solo per il fatto che hanno trovato la morte “per mano jugoslava”.

Parliamo di posizioni cui si sono allineati esponenti del centrosinistra, a cominciare dal presidente della Repubblica Napolitano che nel suo discorso del 10/2/07 provocò le proteste del presidente croato Stipe Mesic asserendo: “Vi fu dunque un moto di odio e di furia sanguinaria, e un disegno annessionistico slavo, che prevalse innanzitutto nel Trattato di pace del 1947, e che assunse i sinistri contorni di una "pulizia etnica"”.

Concetti del genere li troviamo anche nella presentazione di un’altra proposta di legge per una “giornata della memoria delle foibe e dell’esodo”, firmata dal parlamentare Willer Bordon (colui il quale, dopo essere vissuto di politica per 35 anni ha recentemente dato alle stampe un libro nel quale spiega perché sarebbe “uscito dalla casta”): “La presente iniziativa però intende contribuire a recuperare alla memoria nazionale ed europea le dolorose e drammatiche vicende dell’esodo di istriani, fiumani e dalmati a seguito della vittoria militare della Jugoslavia di Tito, che, oltre i caratteri di reazione post bellica, assunse anche i caratteri di una vera pulizia etnica”.

Tornando alla legge del “giorno del ricordo” il punto più discutibile (a parer nostro) è quello che prevede un “riconoscimento” (una “insegna metallica in acciaio brunito e smalto”, con la scritta “La Repubblica italiana ricorda”) per i “congiunti fino al sesto grado di coloro che, dall’8 settembre 1943 al 10 febbraio 1947 in Istria, in Dalmazia o nelle province dell’attuale confine orientale, sono stati soppressi e infoibati” e degli “assimilati, a tutti gli effetti” e cioè “gli scomparsi e quanti, nello stesso periodo e nelle stesse zone, sono stati soppressi mediante annegamento, fucilazione, massacro, attentato, in qualsiasi modo perpetrati”.

Da questo riconoscimento sono esclusi “coloro che sono morti in combattimento” e “coloro che sono stati soppressi nei modi e nelle zone di cui ai commi 1 e 2 mentre facevano volontariamente parte di formazioni non a servizio dell’Italia”.

Ora, bisogna considerare che la zona determinata da “Istria, Dalmazia e province dell’attuale confine orientale”, come recita la legge, dopo l’8 settembre 1943 era state annesse al Reich, denominata Adriatisches Küstenland e sottoposta al diretto comando germanico. Così le forze armate del Küstenland erano agli ordini dell’esercito nazista, nessun militare era “a servizio dell’Italia”, neppure dell’Italia della golpista Repubblica di Salò: e come l’esercito erano agli ordini del Reich la polizia (Pubblica Sicurezza che all’epoca non era corpo civile ma militare), la Guardia di Finanza (della quale solo negli ultimi giorni di guerra alcuni reparti furono posti a disposizione del CLN triestino), e la Guardia Civica costituita in epoca nazista. L’arma dei Carabinieri ha una storia a parte: fu sciolta per ordine del Reich con decorrenza 25/7/44, ed i militi furono messi di fronte alla scelta di aderire ad uno dei corpi collaborazionisti o essere deportati in qualche lager germanico (molti furono coloro che, pur di non essere incorporati nelle forze armate germaniche, preferirono la deportazione e pagarono con la vita questa loro fedeltà all’Italia). Di fatto, quindi, chi era rimasto in zona dopo lo scioglimento dell’Arma poteva essere solo un ex carabiniere inquadrato in qualche altra formazione militare.

La legge precisa che sono esclusi coloro che “volontariamente” avevano fatto parte di queste formazioni, però qui va detto che è vero che il richiamo alle armi era obbligatorio, ma è vero anche che molti sceglievano in quale corpo entrare, piuttosto che accettare di essere inseriti nella Todt, il servizio del lavoro. Così come uno di coloro che rientrano nell’elenco dei “premiati”, Marco Sorge (padre dell’ex prefetto di Trieste, Anna Maria Sorge, che ritirò la targa), era sì stato carabiniere ma poi era entrato nella PS (come risulta anche dall’Albo d’Oro di Luigi Papo).

Osserviamo inoltre che nell’ambito degli “scomparsi e quanti, nello stesso periodo e nelle stesse zone, sono stati soppressi mediante annegamento, fucilazione, massacro, attentato, in qualsiasi modo perpetrati” possono essere inserite anche alcune vittime del nazifascismo, i morti in Risiera e delle rappresaglie (come ad esempio i 71 ostaggi fucilati ad Opicina nel marzo 1944; ma non i 51 impiccati – non fucilati – in via Ghega nell’aprile 1944).

La cosa più strana però è che non vi sono elenchi ufficiali di chi riceve questo riconoscimento (a differenza delle medaglie al valore, questi nomi non vengono pubblicati né sulla Gazzetta Ufficiale né sul sito della Presidenza della Repubblica) e che mentre il primo anno (2006) la stampa ha pubblicato un elenco di 26 nomi di “premiati”, nel 2007 abbiamo potuto leggere solo che furono attribuiti 350 riconoscimenti, dei quali siamo riusciti a reperire solo un centinaio di nomi tramite ricerche in Internet nei siti delle Prefetture (e va detto che per lo stesso nominativo sono stati a volte conferiti più riconoscimenti, come nel caso del finanziere Scialpi Gregorio i cui parenti ricevettero la targa una volta nel 2006 e due volte nel 2007). Invece quello che ci pare assurdo è che i parenti che avevano chiesto il riconoscimento alla Prefettura di Udine chiesero anche (ed ottennero!) non fossero resi noti i nomi loro e dei loro congiunti (come se, invece di essere onorati di ricevere tale encomio se ne vergognassero?). Nel 2008, infine, sull’identità dei riconoscimenti è calato il silenzio più totale, ed anche le nostre ricerche nei siti internet delle Prefetture non sono servite a molto.

Sul motivo di tale “clandestinità” sui riconoscimenti che dovrebbero essere (a logica) pubblicizzati il più possibile possiamo soltanto fare delle ipotesi. Forse i nominativi sono troppo pochi per giustificare tutta la pregressa propaganda sulle “migliaia di infoibati sol perché italiani”? questo ci riporta all’appello del Presidente Federazione delle Associazioni degli Esuli Istriani, Fiumani e Dalmati, Renzo Codarin, che leggiamo sulla “Voce giuliana” del 16/12/08: “nel 2008 sono state presentate circa settanta domande, per il 2009 si teme che il numero diminuisca ancora”; perciò invita “i nostri dirigenti a prendere diretto contatto con gli aventi diritto, mettendo magari a disposizione il proprio personale impegno e buona volontà per la compilazione della domanda”). Tornando indietro nel tempo, un comunicato governativo del febbraio 2006 rende noto che i 26 nominativi premiati nell’anno costituiscono l’80% del totale delle istanze presentate nel 2004 e l’80% di quelle presentate nel 2005: di conseguenza il totale delle domande presentate fino allora dovrebbe essere meno di cinquanta.

O forse questo “silenzio stampa” serve ad evitare quello che è accaduto nel 2006 e nel 2007, quando sono stati stigmatizzati alcuni nominativi che (a sensi di legge) non avrebbero avuto diritto al riconoscimento (perché uccisi in combattimento, oppure volontari), ed ha fatto un certo scalpore quantomeno nell’ambito universitario che un riconoscimento sia stata attribuito ai parenti di Vincenzo Serrentino, “ultimo prefetto di Zara italiana” e condannato a morte a Sebenico. Serrentino, che fu giudice del Tribunale speciale per la Dalmazia, fu denunciato alle Nazioni unite come criminale di guerra; arrestato a Trieste nel maggio 1945, fu condotto a Sebenico dove fu processato per l’attività compiuta dal Tribunale da lui presieduto e condannato a morte. Ci chiediamo quale eco internazionale avrebbe avuto una decorazione attribuita a qualcuno dei condannati a morte al processo di Norimberga.

Un’anteprima di chi dovrebbe ricevere la targa il prossimo 10 febbraio ci viene da una dichiarazione dell’avvocato Paolo Sardos Albertini, presidente della Lega Nazionale: si tratta della sorella di Dario Pitacco, il “ragazzo ucciso dalle truppe slovene il 1° maggio 1945 per avere issato la bandiera italiana” (sul “Piccolo” del 17/12/08).

In realtà, come scrive anche Papo, Pitacco faceva parte di quel gruppo di guardie civiche che al momento dell’insurrezione si trovavano al Municipio come corpo di guardia del podestà Pagnini; fu arrestato il 2 maggio, assieme alle altre guardie e condotto in prigionia in Jugoslavia, dove di lui si persero le tracce. Quanto all’esposizione della bandiera italiana sul municipio di Trieste, ricordiamo la testimonianza di Vasco Guardiani, il commissario politico della Brigata Frausin del CVL, che si trovava in municipio assieme ad altri esponenti del CLN triestino (tra cui don Marzari ed il colonnello Fonda Savio) al momento dell’arrivo dell’esercito jugoslavo il 2 maggio 1945. Guardiani voleva impedire ad un militare jugoslavo di ritirare il tricolore italiano che era stato esposto al balcone del municipio, ma fu minacciato di morte e desistette (sul “Piccolo” del 22/3/04). Questo racconto pone quantomeno dei dubbi sulle modalità dell’uccisione di Pitacco così come esposte da Sardos Albertini.

Del resto la coerenza non sembra essere una delle caratteristiche della Lega nazionale di Trieste, dato che nel maggio 2005 inviarono una lettera al Capo dello Stato per chiedere fosse conferita la medaglia al valore alla memoria ai “cinque cittadini di Trieste, caduti il 5 maggio 1945, sotto il piombo jugoslavo: Claudio Burla, Giovanna Drassich, Carlo Murra, Graziano Novelli e Mirano Sancin”, ciò nonostante lo storico Roberto Spazzali avesse pubblicato sul “ Piccolo” del 4 maggio 2005 uno studio sulla vicenda di questi caduti dove si legge “sulla lapide posta in via Imbriani nel 1947 compare pure il nominativo di Giovanna Drassich, ma è frutto di un’errata trascrizione, in quanto la signora spirò alle 5 di mattina del 5 maggio”.

I due testi (la lettera al Presidente della Repubblica, firmata da Sardos Albertini, e lo studio di Spazzali) sono ambedue disponibili sul sito della Lega nazionale, i cui curatori evidentemente non si prendono la briga di leggere attentamente quanto inseriscono. Quanto al modello culturale di questi signori, si veda la presentazione del testo di Giorgio Rustia “Contro operazione foibe”, scaricabile in PDF: “la risposta completa e dettagliata a tutte le teorie negazioniste di sedicenti storici e trinariciuti divulgatori che imperversano su internet, nelle librerie, ai convegni e nelle scuole”.Tutto ciò non avrebbe molta importanza e si potrebbe archiviare nella categoria “il mondo è bello perché è vario”, se non fosse che alla Lega nazionale, non si sa per quale recondito motivo (il Museo della Risiera di San Sabba è gestito dai Civici musei del Comune di Trieste e le guide sono persone preparate in materia) è stata affidata la gestione delle “visite guidate” al museo della foiba di Basovizza. Quale tipo di informazione potranno ottenere le scolaresche e tutti gli altri visitatori che, ignari ed in perfetta buona fede, verranno “istruiti” da persone di cotanta cultura e serenità nell’affrontare lo studio di argomenti storici?

In calce un breve cenno sulla proposta di legge di istituzione di un “ordine del tricolore”. Nel 1999 era stata presentata (dal centrosinistra, infatti una delle relatrici fu Celeste Nardini del PRC) una proposta di legge sulla traccia di quella per l’Ordine di Vittorio Veneto (la legge 18 marzo 1968, n. 263 istituì l’Ordine di Vittorio Veneto, “in occasione del cinquantennale della fine della prima guerra mondiale. Si tratta, a suo avviso, di un progetto di legge coerente con la cultura di pace e di pacificazione dell’Italia post-bellica, che attribuisce pari dignità a coloro che hanno partecipato al conflitto in uno dei momenti più drammatici della storia italiana, che riconosceva lo status di ex combattenti a tutti coloro che avevano prestato servizio militare nella Prima guerra mondiale”, come disse l’onorevole Ciriello in seduta 12/11/08).

In www.camera.it/_dati/leg13/lavori/stampati/sk3000/articola/26810a.htm, leggiamo lo scopo di questa prima proposta di legge:
1. L'onorificenza è conferita a coloro che prestarono servizio militare, per almeno tre mesi, in zona di operazioni, anche a più riprese, nelle Forze armate italiane durante la guerra 1940-1945, o nelle formazioni armate partigiane o gappiste, regolarmente inquadrate nelle formazioni dipendenti dal Corpo volontari della libertà, ed ai combattenti della guerra 1940-1945, ai mutilati ed invalidi della guerra 1940-1945 fruenti di pensione di guerra ed agli ex prigionieri o internati nei campi di concentramento o di prigionia.

La proposta di legge presentata nel 2008 riprende l’articolo 1 della precedente, con alcune differenze che evidenzieremo in grassetto (in www.camera.it/_dati/leg16/lavori/schedela/apriTelecomando_wai.asp?codice=16PDL0011740).
1. L'onorificenza è conferita a coloro che hanno prestato servizio militare, per almeno sei mesi, in zona di operazioni, anche a più riprese, nelle Forze armate italiane durante la guerra 1940-1945 e invalidi, o nelle formazioni armate partigiane o gappiste, regolarmente inquadrate nelle formazioni dipendenti dal Corpo volontari della libertà, ai combattenti della guerra 1940-1945, ai mutilati e invalidi della guerra 1940-1945 titolari di pensione di guerra e agli ex prigionieri o internati nei campi di concentramento o di prigionia, nonché ai combattenti nelle formazioni dell'esercito nazionale repubblicano durante il biennio 1943-1945.

Ecco la dimostrazione di come bastino poche parole aggiunte ad un articolo di legge a cambiare completamente il senso della storia.
Fonte: resistenze.org - cultura e memoria resistentida
La Nuova Alabarda

Fiat di Pomigliano. Manifestano per il lavoro, cariche della polizia


di Giuliano Pennacchio


Fermati e incriminati cinque lavoratori. Rinaldini: ai lavoratori il pieno sostegno della Fiom. Ferrero (Prc): "il governo non fa niente"


NAPOLI - Un migliaio di operai della Fiat auto di Pomigliano d'Arco, hanno dato vita questa mattina.intorno alle 9,30 a una assemblea davanti alla sede dello stabilimento per denunciare una situazione di grande disagio che impedisce, di fatto, ai lavoratori di riprendere l’attività. Infatti a seguito del blocco della produzione e al licenziamento dei 120 operai di un’azienda, la ASM di Avellino, collegata alla Fiat, è diventato impossibile riprendere a produrre, a partire da questa settimana, come era previsto.


Un fatto che rende ancor più grave una situazione di difficoltà in Al termine dell’assemblea un pacifico corteo si è diretto verso l’autostrada A1. “ Non siamo riusciti neppure ad avvicinarci allo svincolo Acerra –Afragola- dice Mimmo Loffredo, delegato Fiom- che la polizia in tenuta anti-sommossa ha cominciato a caricare, usando pesantemente i manganelli tanto che alcuni operai sono rimasti contusi”. A questo punto, anche per evitare ulteriori cariche, un gruppo di manifestati si è “ disperso” per i campi riuscendo così a raggiungere l’autostrada. La polizia ha nuovamente caricato. I manifestati si sono dispersi cercando rifugio dietro le auto rimaste bloccate. Gli agenti hanno quindi fermato e portato in caserma cinque lavoratori, ritenuti i promotori dell’azione di protesta fra i quali anche Mimmo Loffredo. Sono stati trattenuti per due ore e nei loro confronti è partita la denuncia per diverse imputazioni fra le quali interruzione di servizio di pubblica necessità, resistenza a pubblico ufficiale, concorso in reato cui da molti mesi si trovano i lavoratori. Immediata la presa di posizione di Gianni Rinaldini, segretario generale derlla Fiom il quale ha affermato che “ non è con la polizia che si risolvono i problemi dello stabilimento di Pomigliano.”Il segretario di Rifondazione Comunista, Paolo Ferrero, ha espresso piena solidarietà ai cinque manifestanti fermati dalla polizia che chiedono solo precise garanzie sul loro futuro occupazionale. Da subito deve essere integrata la cassa integrazione e deve essere estesa la copertura degli ammortizzatori sociali a tutti i precari. E’ inaccettabile che il governo continui a non far niente a fronte di una crisi dei queste proporzioni.”


Pomigliano è in cassa integrazione da mesi: cinquemila lavoratori dello stabilimento Fiat-Auto, dodicimila dell’indotto. Dodici settimane di cassa integrazione per il 2008 ed altrettanto si profilano per i lavoratori per il 2009, mentre per l’indotto la Cig rischia di non essere estesa per tutte le realtà produttive (dalle fabbriche chimiche che producono i paraurti, a quelle tessili che costruiscono i sedili). 740 euro al mese sono pochi. E’ quello che percepiscono in busta i lavoratori; anche l’eventuale accordo con la Chrysler deve partire dalla chiarezza sulle prospettive industriali e sul mantenimento dei livelli occupazionali negli stabilimenti del nostro paese. Garanzie industriali e occupazionali a cui va vincolata anche ogni ipotesi di un intervento pubblico che deve sostanziarsi nell’acquisizione da parte delle stato di quote azionarie, come strumento di nuove politiche industriali.


Rinaldini: una situazione sociale insostenibile

“Non è con l’intervento della polizia che si risolvono i problemi dello stabilimento auto di Pomigliano D’Arco, né quelli di tutti gli altri stabilimenti Fiat esistenti nel nostro Paese."

“L’iniziativa di lotta dei lavoratori di Pomigliano-afferma il segretario generale della Fiom- ha il pieno sostegno della Fiom. Oltre a questo, ciò che deve essere chiaro è che quanto è accaduto oggi a Napoli è il sintomo evidente di una situazione sociale che diventa sempre più insostenibile. E ciò perché, di fronte ad una crisi economica senza precedenti, il Governo del nostro Paese non ha ancora impostato né un’iniziativa di politica economica, né un’iniziativa di politica sociale capaci di fronteggiare tale crisi e le sue conseguenze.”


“Stando a quanto dicono i mezzi di informazione, il Consiglio dei Ministri che si riunisce domani sarebbe intenzionato ad assumere prime misure relative alla crisi industriale. Per noi, il Governo deve legare misure di intervento pubblico alla garanzia dell’occupazione e alla salvaguardia di tutti gli stabilimenti esistenti. Questo vincolo sociale deve valere per l’auto, come per gli elettrodomestici e per tutti i settori che potranno usufruire di tali misure.”“Da parte sua, la Fiat deve rapidamente definire le prospettive produttive dei suoi diversi stabilimenti. Altrettanto rapidamente, il Governo deve definire provvedimenti volti a far crescere la copertura salariale della Cassa integrazione.” Per noi è quindi necessaria l’apertura di un tavolo di confronto tra il Governo, i gruppi industriali coinvolti e le parti sociali.”
Fonte: Dazebao

Foibe: come ti costruisco un mito nascondendo o distorcendo i fatti storici

Dal 2005 il 10 febbraio viene commemorato in Italia come “giorno del ricordo”, in memoria dei "martiri" delle foibe. Da allora, per “bilanciare” il peso delle responsabilità storiche, a ruota della “giornata della memoria” che celebra la liberazione dal nazifascismo, il 10 febbraio è diventato il teatro di commemorazioni, monumenti, lapidi, intitolazioni di strade in onore dei caduti italiani, “innocenti vittime della barbarie comunista slava”. Ma quanto c’è di vero in questa ricostruzione “nazional-patriottica” ?

Per prima cosa bisogna ricordare che in Istria e a Trieste la storia non incomincia il 1° maggio 1945.

L’Istria venne annessa dall’Italia con il Trattato di Rapallo del 1920, come ricompensa per il contributo alla “vittoria” di quella immensa strage che passò alla storia come 1^ Guerra Mondiale. Con l’avvento del fascismo Mussolini impose l’italianizzazione forzata della regione: fu vietato l'uso dello sloveno e del croato nella scuola, sul lavoro, in chiesa, gli impieghi pubblici furono assegnati agli appartenenti al gruppo etnico italiano. Decine di migliaia di croati e sloveni furono costretti ad emigrare nell'allora Regno di Jugoslavia o in altri paesi esteri.

Con l’occupazione nazi-fascista della Jugoslavia nel 1941 le persecuzioni contro sloveni e croati divennero ancora più gravi: furono fucilati migliaia di ostaggi, bruciati centinaia di paesi e i loro abitanti deportati in decine di campi di concentramento italiani, e vi morirono di fame e di malattia fra 7 e 11 mila persone. A Trieste nel 1942 fu istituito per la repressione della resistenza partigiana l'Ispettorato Speciale di Polizia per la Venezia Giulia, che si macchiò di efferati delitti contro gli antifascisti in genere, ma soprattutto contro sloveni e croati. Furono proprio uomini dell'Ispettorato, in particolare quelli della squadra politica, la cosiddetta banda Collotti, a gettare negli "anfratti del Carso" gli arrestati che morivano sotto tortura.

Dopo l'8 settembre e la capitolazione dell'Italia, in Istria ci fu un'insurrezione popolare e furono arrestati molti fascisti e molti di coloro che a vario titolo avevano rappresentato lo stato fascista. Dagli stessi documenti di fonte fascista risulta che morirono fra le 250 e le 500 persone, la gran parte uccise al momento della rioccupazione del territorio da parte dei nazifascisti. Dopo la liberazione i morti per mano della resistenza partigiana jugoslava ( a cui dopo l’8 settembre si erano aggregati moltissimi italiani ) furono meno di 500 a Trieste, poco più di 600 a Gorizia, 300 a Fiume, quasi tutti adulti compromessi col fascismo o con l’occupatore tedesco. La maggior parte morirono in prigionia, in seguito a malattie, o fucilati in seguito a processi; a Trieste nel '45 le persone "infoibate" furono alcune decine, e per queste morti ci furono nei mesi successivi dei processi e delle condanne, da cui risultava che si era trattato in genere di vendette personali nei confronti di spie o ritenute tali.

Amianto nella cava di Chiaiano: non basta la rimozione, è obbligatoria la bonifica dell’intera area


Tra la fine di ottobre e l’inizio di novembre 2008 i cittadini di Chiaiano e Marano hanno reso noto che era stato rinvenuto materiale pericoloso, tra cui amianto, durante gli sbancamenti nell’area adiacente la Cava del Poligono di Chiaiano; alla fine di ottobre hanno inoltrato un esposto alla Procura di Napoli.

Il 3 novembre 2008 il quotidiano La Repubblica ha pubblicato una intervista al Generale Giannini, vice di Bertolaso, che confermava il ritrovamento di varie migliaia di metri cubi di materiale inquinante con amianto a poche decine di metri dalla cava del Poligono in un’area interessata dalla realizzazione delle opere accessorie alla discarica. L’8 novembre i comitati civici hanno discusso dell’amianto in un’assemblea all’Orientale evidenziando la rimozione e l’interramento dei materiali inquinanti; in seguito il Generale Giannini ha denunciato i comitati per vilipendio delle forze armate e procurato allarme. Su You Tube sono ancora visibili i filmati che ritraggono le fasi della rimozione e ricoprimento dei rifiuti. L’area dove sono stati rinvenuti rifiuti e amianto, manomessa dagli sbancamenti, è stata lasciata esposta al vento e alle piogge per tre mesi.

Su Il mattino del 27 novembre 2008 il Generale Giannini ha dichiarato «Siamo al lavoro per spostare i materiali inquinanti ritrovati nella cava di Chiaiano in discariche autorizzate: puliremo fino a trovare la roccia, così da essere sicuri che non ci sia nient’altro». Il generale non sapeva che i rifiuti di cui parlava e i buchi nei quali erano stati irregolarmente trasferiti erano stati appoggiati su altro materiale ignoto, avente uno spessore di circa 20 metri, usato per colmare una cava abbandonata adiacente (a circa 20 metri) a quella del Poligono. Ignorava ancora che tutta la superficie interessata attualmente dai lavori per la realizzazione delle opere accessorie alla discarica è costituita dal colmamento di cave abbandonate, ovvero da materiali ignoti tra i quali vi possono essere rifiuti vari e materiali pericolosi.

Con l’ordinanza n. 8 del 21 gennaio 2009 della Presidenza del Consiglio dei Ministri si fa definitivamente chiarezza: l’amianto c’è e sono stati stanziati circa 850.000 euro per rimuoverlo. Dice inoltre “la rimozione costituisce una misura di estrema urgenza per la salvaguardia della salute pubblica” ed evidenzia che un ritardo “genererebbe gravi ripercussioni anche di ordine sociale”.

La rimozione dei rifiuti rinvenuti non significa bonificare l’area. Bisogna caratterizzare tutti i materiali accumulati in passato nell’area dei lavori e, come diceva Giannini, grattare via tutto fino a raggiungere la roccia sottostante. Il 18 luglio 2008 è stato stipulato l’Accordo di Programma per gli interventi di compensazione ambientale nei comuni della Campania sul cui territorio sono stati individuati impianti di trattamento dei rifiuti, o dove esistono impianti dismessi che prevede 526 milioni di euro per la rimozione dei rifiuti abbandonati incontrollatamente, per la messa in sicurezza e bonifica delle vecchie discariche e per la bonifica di siti inquinati.


La figura a sinistra illustra l’attuale situazione ambientale dell’area interessata dai lavori di approntamento della discarica nella Cava del Poligono indicando le aree nelle quali sono stati accumulati materiali ignoti. La figura a destra rappresenta una sintesi della ricerca effettuata sugli sversamenti di materiali ignoti avvenuti fino al 13 settembre 2008 nelle cave comprese tra il Poligono e la zona ospedaliera di Napoli dei Camaldoli. Il sottosegretario Bertolaso, contemporaneamente Capo della Protezione Civile Nazionale ora sa, come i cittadini sanno, che l’area circostante la Cava del Poligono è inquinata e che oltre all’amianto rinvenuto ci possono essere altri materiali inquinanti accumulati al di sotto delle opere in via di realizzazione. Si aggiunga che quasi tutte le cave che circondano l’area ospedaliera sono state interessate da sversamenti di materiali ignoti contenenti anche rifiuti pericolosi, come evidenziato da alcuni interventi della magistratura di Napoli.La bonifica è pertanto necessaria e i soldi ci sono; ma bonifica vera (controllata e verificata dai cittadini) e non di facciata. Non si può continuare a far finta di niente continuando a costruire le opere accessorie alla discarica sui materiali riportati abusivamente in passato tra i quali ci possono essere altri rifiuti pericolosi per i cittadini di Marano e Chiaiano e per l’Area Ospedaliera.

Fiat Pomigliano: Caricati gli Operai!!

Questa mattina circa 2000 lavoratori della Fiat auto di Pomigliano d’Arco (Napoli), si sono radunati davanti ai cancelli dello stabilimento automobilistico. Subito dopo l’assemblea un corteo spontaneo si è diretto sull’Autostrada A1.

Un gruppo di lavoratori passando dalle campagne per raggiungere l’autostrada è stato circondato e caricato selvaggiamente. Abbiamo raggiunto telefonicamente alcuni lavoratori che ci hanno confermato l’arresto di Mimmo Lofredo delegato sindacale della Fiom e esponente di Rifondazione Comunista, e di altri 5 Operai

Come Giovani Comunisti di Marano esprimiamo la più sentita solidarietà ai lavoratori della Fiat Auto di Pomigliano d'Arco che sono stati brutalmente aggrediti durante una pacifica manifestazione in difesa dei posti di lavoro e per il futuro dello stabilimento Fiat di Pomigliano d'Arco e di tutto l'indotto.
Richiediamo che i 6 lavoratori fermati, e poi rilasciati, dalla questura, vengano prosciolti da qualsiasi accusa.

Decifrando il pensiero del nuovo presidente degli Stati Uniti


Riflessione del compagno Fidel


Non è troppo difficile. Dopo il suo insediamento, Barack Obama ha dichiarato che la restituzione del territorio occupato dalla Base Navale di Guantánamo al suo legittimo proprietario doveva anzitutto valutare se danneggiava, oppure no, anche solo minimamente, la capacità difensiva degli Stati Uniti.

Aggiungeva immediatamente, che per la restituzione a Cuba del territorio occupato dalla stessa, doveva considerare in base a quali concessioni la parte cubana acconsentirebbe a quella soluzione, il che equivale all'esigenza di un cambiamento nel suo sistema politico, un prezzo contro il quale Cuba ha lottato per mezzo secolo.


Mantenere una base militare a Cuba contro la volontà del nostro popolo, viola i più elementari principi del diritto internazionale. È una facoltà del Presidente degli Stati Uniti osservare quella norma senza condizione alcuna. Non rispettarla costituisce un atto di superbia ed un abuso del suo immenso potere contro un piccolo paese.


Se si desidera comprendere meglio il carattere abusivo del potere dell'impero, si devono considerare le dichiarazioni pubblicate il 22 gennaio 2009 sul sito internet ufficiale del governo degli Stati Uniti, successive all’entrata in carica di Barack Obama. Biden ed Obama decidono di sostenere risolutamente le relazioni tra gli Stati Uniti ed Israele, e considerano che l'incontrovertibile impegno in Medio oriente dev’essere la sicurezza d'Israele, il principale alleato degli Stati Uniti nella regione.


Gli Stati Uniti non prenderanno mai le distanze da Israele ed il loro presidente e vicepresidente "credono risolutamente nel diritto d'Israele a proteggere i suoi cittadini", assicura la dichiarazione di principio, che riprende in quei punti la politica seguita dal governo del predecessore di Obama, George W. Bush.


È il modo di condividere il genocidio contro i palestinesi in cui è caduto il nostro amico Obama. Zuccherini simili offre a Russia, Cina, Europa, America Latina ed al resto del mondo, dopo che gli Stati Uniti hanno trasformato Israele in un'importante potenza nucleare che assorbe ogni anno una parte significativa delle esportazioni della prospera industria militare dell'impero, con cui minaccia, con una violenza estrema, la popolazione di tutti i paesi di fede musulmana.
Esempi simili abbondano, non è necessario essere un indovino. Si leggano, per maggiore chiarezza, le dichiarazioni del nuovo Capo del Pentagono, esperto in questioni belliche.